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COMUNITÀ DI SPAZI E SERVIZI: COHOUSING A PICCOLI PASSI IN ITALIA

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Lieto fine per Urban Navigli, il progetto di cohousing a Milano rimasto nelle secche per il fallimento della società che lo aveva lanciato.

Manca solo uno step e poi la cooperativa Ccl subentrerà a pieno titolo nell’operazione, con l’obiettivo di chiudere il cantiere entro il 2024. Un inciampo che non ha fermato un fenomeno – quello del cohousing – che, nato negli anni Sessanta in Scandinavia per poi diffondersi nel resto d’Europa, ha per anni faticato ad attecchire in Italia. Oggi, però, la condivisione di spazi e servizi da parte di proprietari di abitazioni nello stesso complesso condominiale è diventata un valore. Edifici residenziali sostenibili dal punto di vista energetico, ecologico, dell’utilizzo delle risorse, della salute e del benessere degli inquilini, dei materiali, della produzione di rifiuti, dei processi di gestione e dei servizi erogati, raccolti attorno a piazza e verde attrezzato che diventano il luogo di crescita dei rapporti sociali. E anche occasioni per risparmiare sulla spesa e sulle utenze, per condividere spazi. Un modo di abitare che, pur crescendo, continua a essere “di nicchia” e che al sud ha tuttora difficoltà di penetrazione. «Perché – ha spiegato Matteo Robiglio, docente di Architettura al Politecnico di Torino e presidente di Homers, che sviluppa progetti in questa direzione – il cohousing muove il 2% del mercato immobiliare europeo e noi non riusciamo ad andare oltre le 40 esperienze? Non c’è una “preclusione italica”. Anzi, la domanda c’è. Ma è una questione di metodo.

Qui il cohousing nasce come “progetto dal basso”, su misura di microgruppo, non di rado litigioso. Ma ciò non permette di avere degli standard economici, contrattuali e dei tempi di realizzazione prevedibili. Noi lavoriamo proprio su questi ambiti: format economici, bancari, contrattuali. E poi partiamo sempre da un asset, dal prodotto. Possiamo avere l’orto sul tetto o i pannelli solari, la piscina o gli spazi comuni, ma partiamo da un prodotto, vediamo cosa è possibile inserire e ci diamo tempi certi di sviluppo». E al sud? «Il cohousing manca. Stiamo cercando di costruire a Taranto – ha proseguito Robiglio – una proposta di cohousing, assieme ad Ance e associazioni del territorio, per recuperare aree del centro degradate e riportarle a nuove funzioni. Ma siamo all’inizio». Infine, una parte la possono fare anche i sindaci, agevolando gli spazi comuni nei regolamenti sul fronte degli oneri e delle norme edilizie. La fotografia In Italia – fotografa Scenari Immobiliari – su 730mila compravendite effettuate, di cui 100mila di abitazioni nuove, le residenze con servizi hanno raggiunto le 5mila, in crescita rispetto alle 4mila del 2020. I progetti di cohousing, in Italia, sono perlopiù, frutto di una ristrutturazione di vecchi edifici (circa il 60 per cento). Gli alloggi più “gettonati” sono i trilocali (36%) e i quattro o più locali (31%).

Seguono i bilocali (28%), mentre la richiesta di monolocali è solo del 5 per cento. Le dimensioni medie si aggirano sui 40 mq per i monolocali, 60 mq per i bilocali e 85 mq per i trilocali, i quadrilocali invece hanno una superficie media di 110 mq. Oltre a spazi comuni che nella maggior parte dei casi sono superiori ai 300 mq. Si tratta, perlopiù, di edilizia libera (70,6%). Il 38,2% degli utenti ha 36-65 anni, il 28,4% ne ha 19-35. Meno del 20% è over 60. A Trento è finanziato Poche settimane fa la Provincia Autonoma di Trento ha riconosciuto giuridicamente il cohousing come modello abitativo. «In sostanza, questo frame giuridico – ha detto Cinzia Boniatti, sociologa e fondatrice di Cohousing Trentino – consente di dedicare dei fondi pubblici al risanamento e alla ristrutturazione di immobili per renderli idonei all’uso da parte di comunità abitative». Il complesso di Progedil a Roma Intanto a Roma, il Gruppo Immobiliare Progedil , grazie all’accordo di partnership siglato in esclusiva con la società di certificazione Condominio Sette Stelle, ha in consegna il primo complesso immobiliare della Capitale in cohousing ma certificato cinque stelle. «Si tratta di cinque edifici, cento appartamenti, localizzati a Roma Nord, quartiere Torresina – dichiara Marco Barile, managing director del Gruppo Immobiliare Progedil -. Portiamo a Roma una nuova filosofia dell’abitare. La casa, oggi, non viene più ricercata, solo secondo il parametro degli spazi ma anche per i servizi di qualità annessi, essenziali per determinare il valore di un immobile».

Nello specifico, il sistema di certificazione è costituito da 64 indicatori di tipo ambientale, sociale, ed economico definiti da un protocollo redatto dal Politecnico di Milano. A seguito della valutazione vengono attribuite al condominio da 0 a 7 stelle. La valutazione viene effettuata da professionisti abilitati e formati dallo stesso Politecnico. La certificazione – che dura quattro anni e può essere rivista – offre la possibilità di usufruire, grazie a una convenzione siglata con fornitori esterni qualificati, di una serie di servizi come baby sitter, car sharing, colonnine per la ricarica elettrica delle auto, un locker per la ricezione di pacchi, car washing a domicilio, il tutto direttamente dal proprio condominio, a portata di click su iPad oppure sulla bacheca digitale condominiale

( Articolo di LAURA CAVESTRI su Il Sole 24Ore)

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