Imposta di soggiorno: comunemente (ed erroneamente) indicata come tassa di soggiorno. Gli adempimenti dell’albergatore e sanzioni
L’imposta di soggiorno, in alcuni casi definita erroneamente tassa di soggiorno, è un tributo locale, applicato a carico di chi soggiorna (o pernotta) in una struttura ricettiva che si trova in un Comune in cui tale imposta è stata istituita.
L’imposta di soggiorno non può essere istituita da tutti i Comuni, ma solo in quelli di cui all’articolo 4 D.Lgs. n. 23/211. In particolare, secondo quanto stabilito da tale disposizione normativa, l’imposta di soggiorno può essere istituita da:
Comuni;
Unione dei Comuni;
Comuni ricompresi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.
L’imposta di soggiorno spesso, e in modo improprio, viene anche comunemente definita come la “tassa di soggiorno”. Ma tale “confusione” è del tutto errata, in quanto:
- le tasse vengono pagate dai cittadini privati allo Stato (o agli enti pubblici minori) in cambio di un determinato servizio, si provi a pensare alle concessioni governative, le tasse per l’occupazione del suolo pubblico o le tasse scolastiche. –
- le imposte, invece, sono un prelievo coattivo di ricchezza nei confronti di tutti i contribuenti. Il pagamento delle imposte non corrisponde a nessun particolare servizio concesso, erogato, prestato dallo Stato o dagli enti pubblici. L’imposta è prelevata al cittadino in maniera corrispondente alla sua capacità contributiva, come per esempio l’Irpef, e serve in generale ai servizi volti alla collettività.
A questo punto appare chiaro che l’imposta di soggiorno non è da considerarsi “tassa” ma “imposta”, in quanto è pagata dal turista al Comune in cui si trova la struttura ricettiva in cui lui stesso ha deciso di soggiornare in base alle proprie preferenze ed esigenze e i cui proventi sono destinati al miglioramento del settore turistico locale, e non in cambio a determinati servizi particolari.
Di conseguenza, la soggettività passiva dell’imposta di soggiorno non è la struttura ricettiva, ma il cliente della medesima che soggiorna nella struttura, ubicata in un Comune che ne ha previsto l’applicazione.
Sotto il profilo sostanziale, l’ammontare massimo dell’imposta di soggiorno applicabile è stabilito in euro 5 per ciascuna persona ospite e per ogni notte di soggiorno, con specifiche deroghe che consentono la modulazione dell’imposta di soggiorno in base alla tipologia di strutture alberghiere ed extra alberghiere.
A tal proposito, si ricorda che le strutture ricettive sono tenute ad addebitare al cliente l’ammontare dell’imposta di soggiorno e a riversarla all’ente locale. In particolare, le strutture ricettive devono:
- informare i propri ospiti dell’applicazione e dell’entità dell’imposta di soggiorno e delle esenzioni previste, in osservanza della normativa vigente, e richiedere il pagamento dell’imposta entro il periodo di soggiorno di ciascun ospite.
- riscuotere l’imposta, rilasciandone apposita quietanza, emettendo una semplice ricevuta al cliente oppure inserendo il relativo importo in fattura indicandolo come “operazione fuori campo Iva”;
- adempiere agli obblighi di comunicazione (cartacea o telematica) e di versamento dell’imposta previsti dal singolo Comune
- conservare per 5 anni, ex articolo 1 co. 161 del DLgs. 296/2006, la documentazione relativa ai pernottamenti, all’attestazione di pagamento dell’imposta da parte di coloro che soggiornano nelle strutture e le dichiarazioni rilasciate dal cliente per l’esenzione dall’imposta di soggiorno, al fine di rendere possibili i controlli tributari da parte del Comune.
A tal proposito, si ricorda che, secondo quanto indicato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24. luglio 2018 n. 19654, l’albergatore che non versa al Comune l’imposta di soggiorno che ha incassato dai clienti risponde di danno erariale.
Tale principio emerge dal fatto che il rapporto tributario, infatti, intercorre esclusivamente tra il Comune che ha istituito l’imposta (soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo). L’albergatore, quindi, è estraneo al rapporto tributario e non può assumere la funzione di “sostituto” o “responsabile d’imposta” in quanto la norma non lo prevede (men che meno tale ruolo potrebbe essergli attribuito dai regolamenti comunali).
Di conseguenza, tra la struttura ricettiva e il Comune si instaura un rapporto di servizio pubblico con compiti specialmente contabili, ma che esulano da quelli tributari. Le attività di riscossione e di riversamento di denaro nell’ambito del rapporto di servizio pubblico determinano “maneggio di denaro pubblico” da cui si genera l’obbligo della resa del conto.
( Articolo di Leonardo Pietrobon pubblicato su “Euroconference News” )