Le molteplici insidie nascoste dietro i bassi punteggi dei nuovi ISA
Da un’attenta lettura della circolare 2.08.2019, n.17/E, dedicata interamente ai “primi” chiarimenti in materia di indici sintetici di affidabilità fiscale, emerge la conferma che il nuovo strumento costituisce, sotto il profilo accertativo, un vero e proprio salto di qualità per l’Amministrazione Finanziaria.
Rispetto agli studi di settore non vi potrà mai essere infatti un accertamento basato sui maggiori ricavi o compensi necessari al raggiungimento di un punteggio di affidabilità fiscale (oltre 6 su una scala di 10) poiché le risultanze, negative, dei punteggi ISA serviranno al Fisco unicamente per le attività di analisi del rischio e selezione delle posizioni. Tutto ciò farà sì che l’inaffidabilità dei risultati evidenziati dal software ISA e le possibili giustificazioni avranno uno scarso peso nel momento in cui, proprio a causa dei bassi punteggi ISA, la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate dovessero bussare alla porta. In tali circostanze, infatti, la verifica non avrà a oggetto il modello ISA e le singole parti dello stesso (fatti salvi ovviamente i casi di accessi brevi finalizzati unicamente a testare i dati in esso inseriti), ma si concentrerà sul reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarati dal contribuente in oggetto. Ci si potrà dunque trovare di fronte a un accertamento basato sulle risultanze emerse a seguito delle indagini finanziarie oppure un accertamento fondato sulle percentuali di ricarico o simili. In ogni caso non saranno mai oggetto di contraddittorio i punteggi ottenuti dal contribuente in termini di singoli indicatori elementari, superando in tal modo le eventuali contestazioni, anomalie e distorsioni del nuovo strumento standardizzato. Appare dunque chiaro che l’unico obiettivo per il Fisco in questo momento è quello di avere i dati dei modelli ISA di oltre 4 milioni di contribuenti italiani (dato comprensivo dei soci e associati) da poter utilizzare in futuro per fare “selezione delle posizioni” da sottoporre a successive e specifiche verifiche. Questo scenario è ben descritto nel documento di prassi amministrativa sopra ricordato. Nel paragrafo dedicato alle analisi del rischio, l’Agenzia delle Entrate afferma infatti che “l’individuazione dei livelli minimi di affidabilità fiscale è stata effettuata sulla base delle stime relative all’applicazione degli ISA al periodo d’imposta 2018 effettuate utilizzando i dati dichiarati ai fini degli studi di settore per il periodo d’imposta 2017”. Tali stime, prosegue poi la circolare in commento, evidenziano che parte significativa dei contribuenti che dichiarano redditi imponibili significativamente bassi si attesta sotto la soglia del punteggio di affidabilità fiscale pari a 6. Si tratta di passaggi significativi che fanno esattamente intendere quali saranno i rischi che i contribuenti “inaffidabili” correranno nel prossimo futuro. 20 anni di scontri giurisprudenziali in tema di studi di settore sembrano aver lasciato il segno. In vigenza degli ISA non si dovrà più discutere di fronte al giudice tributario della bontà dei calcoli effettuati dallo strumento standardizzato, ma soltanto della legittimità della specifica tipologia di accertamento che dallo stesso è indirettamente derivata. Di fronte a un tale scenario anche i contribuenti dovranno prendere le adeguate contromisure. Una di queste potrebbe essere quella di non concentrarsi troppo sui singoli punteggi ISA del periodo d’imposta 2018, ma bensì sull’intera posizione fiscale del contribuente evidenziando eventuali punti deboli nell’ottica di un possibile accertamento dei suoi redditi d’impresa o di lavoro autonomo.
( Articolo di Andrea Bongi pubblicato su “Ratio Quotidiano” )