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Finanziare il capitale di rischio con l’equity crowdfunding

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Tra gli effetti della difficoltà al ricorso ai canali tradizionali di accesso al credito, soprattutto per le PMI che rappresentano il 94% del tessuto produttivo italiano, si può senza dubbio annoverare un’innovativa forma di finanziamento sia per la presenza prevalente di investitori non professionali che per il ricorso allo strumento della rete. Si sta parlando dell’equity crowdfunding, un ramo del crowdfunding che si occupa della raccolta fra il pubblico di capitale di rischio. Attraverso questa formula il finanziatore riceve in cambio una partecipazione della società che propone l’iniziativa di interesse, qualora si raggiunga l’obiettivo di raccolta prefissato entro un termine temporale definito. In caso contrario, tra le varie tutele offerte al finanziatore, vi è anche il recupero di quanto versato. In Italia (primo Paese europeo a regolamentare tale forma di finanziamento), le fonti normative che regolano specificatamente questo tipo di ricorso al capitale sono il D.L. 179/2012, il D.L. 3/2015, la legge di Bilancio 2017 e il D.L. 50/2017. La raccolta del capitale (si parla di fatto di un aumento di capitale a pagamento) viene effettuata tramite piattaforme online che devono rispettare una specifica disciplina legislativa contenuta nel TUF: sul sito della CONSOB è possibile consultare il Registro dei gestori di portali per la raccolta. Occorre prestare diligenza nell’analisi (come si farebbe con una qualsiasi altra attività di investimento), sia ex ante che ex post, per non incorrere in truffe e rischi eccessivi. La stessa CONSOB fornisce alcune indicazioni utili, tra le quali si ricordano: un controllo del soggetto promotore (veridicità degli indirizzi forniti), del gestore (reale iscrizione nel Registro; corrispondenza dell’indirizzo indicato con quello effettivo) e del trattamento dei dati personali. Qualora si ravvisassero delle incongruità, risulta opportuno mettersi in contatto con la stessa CONSOB. Si ricorda, inoltre, che il gestore non può chiedere di versare a suo favore delle somme, ma deve sempre avvalersi di una banca o di una SIM (con un conto intestato all’emittente acceso presso tale banca o SIM). A seguito dell’investimento, occorre comunque partecipare alla vita societaria, con la lettura dei documenti di interesse e con una certa attenzione relativa alle vicende societarie successive. Va ricordato, infatti, che qualora la società effettui un altro aumento di capitale in altro portale senza alcun diritto di opzione esercitato dal socio, la partecipazione potrebbe avere un peso percentuale diverso rispetto a prima. Inoltre, si rammenta che il gestore del portale di raccolta non ha nessun obbligo informativo (pubblicazione di documenti) una volta conclusa l’offerta. Con il menzionato D.L. 179/2012, il legislatore ha introdotto degli incentivi fiscali al fine di favorire gli investimenti in start-up innovative da parte di persone fisiche e società. Beneficiano di questi incentivi sia i soggetti IRPEF che IRES che investono direttamente o indirettamente attraverso società o O.I.C.R. Con la legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018) le agevolazioni fiscali nell’innovazione dovrebbero subire una concreta maggiorazione. Si passerebbe (qualora la Commissione europea autorizzasse le maggiori detrazioni/deduzioni, secondo le procedure previste dall’art. 108, par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) per l’anno 2019 dal 30% al 40% sia per la detrazione dall’imposta per i soggetti IRPEF, sia per la deduzione dal reddito per i soggetti IRES. Per i soggetti IRES diversi da imprese start-up innovative, per l’anno 2019 l’agevolazione risulterebbe aumentata dal 30% al 50% nei casi di acquisizione dell’intero capitale sociale di start-up innovative, a condizione che questo sia acquisito e mantenuto per almeno 3 anni.

(Articolo di Cristina Rigato e Chiara Calore pubblicato – “Ratio Quotidiano” )

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