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Green pass: obblighi e responsabilità di datori di lavoro e lavoratori

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Quattro decreti legge (nn. 105, 111, 122 e 127 del 2021) e otto articoli sul green pass racchiudono una disciplina volta a ricostruire obblighi e responsabilità, ma che solleva spinosi problemi interpretativi. Il regime sanzionatorio a carico dei lavoratori inadempienti e degli stessi datori di lavoro è presidiato anche dalle sanzioni penali del T.U. della sicurezza sul lavoro? E ancora, quale trattamento va riservato ai lavoratori esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica? Infine, cosa si intende per luogo di lavoro?

Otto sono gli articoli “9” – bis, ter, ter.1, ter.2, quater, quinquies, sexies, septies – che leggiamo nei quattro decreti-legge nn. 105, 111, 122 e 127 del 2021 sul green pass. Si tratta di articoli che stanno suscitando discussioni a non finire, persino tra i filosofi e gli storici.

Quel che colpisce è che, invece, resti isolato un approccio volto ad approfondire gli specifici contenuti di questi otto articoli al servizio dei garanti della sicurezza, e così a ricostruire obblighi e responsabilità di datori di lavoro e lavoratori in termini strettamente aderenti ai testi delle norme in vigore, senza la giustapposizione di espliciti o latenti giudizi di natura valutativo-sociologica. Con un duplice intento. Anzitutto, l’ambizioso intento di contribuire al superamento di questa fase drammatica. Secondo intento: non abbandonare le imprese nel rifugio di rassicurazioni verbalmente facili, ma sostanzialmente inconsistenti.

Spinosi sono i problemi interpretativi originati dai decreti-legge sul green pass.

Categorie di lavoratori inadempienti all’obbligo del green pass

Il primo problema è che – nel descrivere il trattamento riservato al rapporto di lavoro dei lavoratori inadempienti all’obbligo del green pass – questi decreti-legge contemplano una disciplina esplicita, pur se differenziata, in ordine a 4 categorie di lavoratori (il personale delle Amministrazioni pubbliche, chiunque svolge un’attività lavorativa nel settore privato, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, i lavoratori di imprese con meno di 15 dipendenti nel settore privato, il personale delle istituzioni scolastiche, universitarie, educative, formative e chiunque accede alle strutture di tali istituzioni per ragioni di servizio o di lavoro), ma non in ordine ad altre due categorie di lavoratori:

anzitutto, il quinquies, al comma 2, si riferisce a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato presso le Amministrazioni pubbliche, anche sulla base di contratti esterni, ma, al comma 6, si riferisce al personale delle Pubbliche amministrazioni di cui al comma 1, e non ai soggetti indicati nel comma 2;

a sua volta, il septies, al comma 1, si riferisce a chiunque svolge un’attività lavorativa nel settore privato, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, ma, al comma 2, si riferisce a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni.

Il distinguo tra queste categorie di soggetti non è lineare. Basti pensare che la seconda potrebbe in più comprendere perlomeno soggetti che svolgono attività di formazione o di volontariato, ovvero sulla base di contratti esterni. Domanda: il regime contemplato dal comma 6 si applica solo ai soggetti di cui al comma 1 o anche ai soggetti di cui al comma 2? Si fa notare che il septies, comma 6, si riferisce testualmente ai lavoratori di cui al comma 1, e non anche ai lavoratori di cui al comma 2.

Regime sanzionatorio

Quanto fin qui detto non toglie che, in rapporto a tutte le categorie di lavoratori inadempienti all’obbligo del green pass -e, dunque, anche in rapporto alle due categorie di cui al quinquies, comma 2, e al septies, comma 2,- il D.L. n. 127/2021 allestisca un regime sanzionatorio, vuoi a carico dei lavoratori inadempienti, vuoi a carico degli stessi datori di lavoro.

Invero, il quinquies, nei commi 7, 8, e 9, e il septies, nei commi 8, 9, e 10, prevedono l’applicazione dell’art. 4, commi 1, 3, 5 e 9, del D.L. n. 19/2020, convertito dalla legge n. 35/2020. Attenzione, però. Questo art. 4 prevede, sì, sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dal Prefetto, ma – è abituale non accorgersene dall’inizio della pandemia – “salvo che il fatto costituisca reato”. E occorre tenere presente che gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 sono generalmente presidiati da sanzioni penali.

E allora non sfugga che, tra questi obblighi, vi è quello – previsto dall’art. 18, comma 1, lett. f), e penalmente sanzionato a carico del datore di lavoro e del dirigente dall’art. 55, comma 5, lett. c), con la pena dell’arresto o dell’ammenda – di vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle “norme vigenti”, nonché delle “disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro” (quanto al preposto v. art. 19, comma 1, lett. a, del D.Lgs. n. 81/2008). Né sfugga che, in base all’art. 20, comma 1, lett. a), e b), i lavoratori hanno l’obbligo – penalmente sanzionato dall’art. 59, comma 1, lett. a) – di “osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale”.

Lavoratori esenti dalla campagna vaccinale

D’altra parte, nulla dicono i decreti-legge sul green pass circa la sorte di quattro categorie di lavoratori, esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica, rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della Salute (e, cioè, la circolare 4 agosto 2021, n. 35309):

il personale scolastico e universitario, di cui al ter;

il personale delle istituzioni scolastiche, universitarie, educative, formative e chiunque accede alle strutture di tali istituzioni per ragioni di servizio o di lavoro, di cui al ter.1 e al ter.2;

i lavoratori del settore pubblico, di cui al quinquies;

i lavoratori del settore privato, di cui al septies.

Si badi che a queste quattro categorie di lavoratori non è applicabile il regime sanzionatorio previsto per i lavoratori inadempienti all’obbligo del green pass, visto che per queste quattro categorie di lavoratori esenti dalla campagna vaccinale l’obbligo del green pass è in radice escluso.

E allora qui dobbiamo comprendere se e quale disciplina trovi applicazione al fine – pur esplicitamente dichiarato dai decreti-legge – “di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro”, e, pertanto, “di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2”. Un fine evidentemente da perseguire anche e comunque in rapporto ai lavoratori esenti dalla campagna vaccinale.

Non a caso, se ne preoccupa, invece, il D.L. n. 44/2021, che per i destinatari dell’obbligo di vaccinazione (vuoi gli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario, vuoi i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie) prevede l’adibizione del lavoratore da parte del datore di lavoro a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 (v. art. 4, comma 10 – espressamente dichiarato “fermo” dall’art. 4-bis, comma 4 – ove, d’altra parte, si fa “salvo in ogni caso il disposto dell’articolo 26, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27” [si badi, modificato dall’art. 9 del D.L. n. 105/2021, a sua volta convertito dalla legge 16 settembre 2021, n. 126], concernente il diritto dei lavoratori fragili allo smart working fino al 31 ottobre 2021).

Nel silenzio del decreto Green pass circa la sorte dei lavoratori esenti dalla campagna vaccinale, non può che rientrare in gioco la norma generale dell’art. 279, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008. E, quindi, per questa strada, torna a essere determinante il giudizio del medico competente sull’idoneità del lavoratore e, in caso di giudizio di inidoneità, si profila l’adibizione da parte del datore di lavoro ad altra mansione, ove possibile, magari con l’utilizzo del lavoro agile. E ciò anche a costo di produrre il malcontento tra quanti sostengono drasticamente che “con il green pass il medico competente non solo non può, ma addirittura non deve avere a che fare, né trattando dati né tantomeno emettendo giudizi di idoneità/inidoneità”.

Trattamento dei dati relativi alla vaccinazione dei lavoratori

Terzo problema. Il Garante della privacy, in un prezioso documento del 13 maggio 2021, ha osservato che il medico competente è l’unico soggetto legittimato a trattare i dati relativi alla vaccinazione dei lavoratori. Ma notiamo che, in base al ter, al ter.1, al ter.2, al quinquies e al septies, le verifiche sull’osservanza dell’obbligo sono effettuate dai responsabili delle istituzioni interessate e, nel caso in cui l’accesso alle strutture sia motivato da ragioni di servizio o di lavoro, anche dai rispettivi datori di lavoro. Ed è un fatto che in materia si applica il D.P.C.M. 17 giugno 2021 (modificato limitatamente all’ambito scolastico e universitario dal D.P.C.M. 10 settembre 2021), adottato ai sensi dell’art. 9, comma 10, del D.L. n. 52/2021, e sentito, dunque, il Garante della privacy.

Nozione di luogo di lavoro

Quarto problema. Il D.L. n. 127/2021 impone il green pass per “tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro”. Nessuno sembra ancora essersi chiesto cosa si intende per “luoghi di lavoro” nelle leggi sulla salute e sicurezza dei lavoratori.

L’art. 62 del D.Lgs. n. 81/2008 li definisce come “i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Ma lo stesso art. 62 precisa che questa nozione restrittiva di luogo di lavoro vale “unicamente ai fini dell’applicazione” del Titolo II del D.Lgs. n. 81/2008, e non, dunque, ai fini dell’applicazione di tutti gli altri Titoli, dal Titolo I, che disciplina i basilari obblighi di sicurezza, dalla valutazione dei rischi alla formazione e alla sorveglianza sanitaria, al Titolo X, relativo agli agenti biologici. E, quindi, a ragione, la Cassazione insegna che “ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di “luogo di lavoro”, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”, e che “per luogo di lavoro si intende qualsiasi luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro ed in cui, in conseguenza, il lavoratore deve o può recarsi per eseguire incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività, e, dunque, “anche quello nel quale i lavoratori si trovino esclusivamente a dover transitare, se tuttavia il transito è necessario per provvedere alle incombenze affidate loro”, e “in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro”, “indipendentemente dalle finalità – sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro – della struttura in cui essa si svolge e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa”.

Compresi, dunque, i luoghi in cui si svolge il lavoro distaccato presso altre aziende.

Compresi il lavoro autonomo e il lavoro somministrato (rispettivamente, sottoposti al controllo del datore di lavoro committente e dell’utilizzatore).

Compresi, si badi, in ossequio alle stesse parole usate dai redattori del D.L. n. 127/2021, il telelavoro e il lavoro agile (contrariamente a quanto azzarda una FAQ del Governo del 27 settembre 2021).

E comprese le mense aziendali, se è vero che l’Allegato IV al D.Lgs. n. 81/2008 – intitolato “Requisiti dei luoghi di lavoro” – include nel paragrafo 1, rubricato “Ambienti di lavoro” il punto 1.11.2. dedicato ai “Locali di refezione”.

Altra notazione: nel contemplare l’obbligo del green pass ai fini dell’accesso del personale delle Pubbliche amministrazioni ai luoghi di lavoro, il quinquies, comma 1, si riferisce a un accesso che avvenga “nell’ambito del territorio nazionale”. Invece, il septies, comma 1, non contiene questa delimitazione territoriale ai fini dell’accesso nel settore privato.

Nessun dubbio, d’altra parte, che – in linea con un’esigenza che da sempre abbiamo segnalato – l’obbligo del green pass gravi anche sui lavoratori autonomi che accedano nei luoghi di lavoro considerati. Nel qual caso, il controllo spetta al datore di lavoro committente e, naturalmente, non può trovare applicazione il controllo affidato ai “rispettivi datori di lavoro”. Così come è del pari indubbio che, in caso di somministrazione, il controllo competa all’utilizzatore. Né rilevano elementi quali la durata dell’attività lavorativa, né la nazionalità del lavoratore.

( Articolo di Raffaele Guariniello pubblicato su Ipsoa “Inform@Mail” )

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