Superbonus, la cessione non rileva ai fini IVA
Un dubbio sul regime Iva della cessione del credito pari alla detrazione per il 110% aleggia tra le imprese che hanno sottoscritto i contratti: non sarà mai che il nostro volume d’affari è destinato a raddoppiare perché dobbiamo prima fatturare il lavoro e poi la cessione del credito che ci viene attribuito?
E se la seconda operazione è esente, verranno a crearsi rischi di pro-rata, da cui la fuga nella complicata separazione di attività? L’impresa che esegue i lavori effettua una prestazione di servizi, in quanto dipendente da un contratto d’appalto. Per le modalità di attribuzione dello sconto del 110% al committente possiamo fare riferimento al paragrafo 7 della circolare 24/E dell’8 agosto 2020: l’emittente della fattura calcola il corrispettivo, aggiunge l’Iva dovuta e pratica uno sconto pari a questo totale (imponibile più Iva). La norma (l’articolo 121 del Dl Rilancio) estende la possibilità di cessione ad altri interventi agevolati, ma in seguito facciamo riferimento al solo superbonus. Lo sconto pari al totale della fattura consente al fornitore di acquisire un credito di importo più elevato, pari al 110%, per consentire l’allineamento finanziario della fornitura: il committente avrebbe dovuto pagare in base agli stati di avanzamento e comunque a fine lavori, mentre il credito per la detrazione ha tempi di recupero più lunghi.
La strada meno complessa ai fini Iva è quella – praticata da molti condomìni – di pagare il fornitore per intero, cedendo il credito a una società finanziaria che mette a disposizione il denaro. L’aspetto Iva è molto semplice: per il principio nominalistico dell’articolo 1277 del Codice civile, il condominio viene finanziato per 100, mentre la società incasserà nel tempo 110. La differenza è il corrispettivo dell’operazione, esente da Iva in base all’articolo 10, comma 1, numero 1) della legge Iva. Nel caso dello sconto in fattura il primo finanziatore è l’impresa, nei cui confronti avviene una datio in solutum (articolo 11 legge Iva) di 110, a fronte di un debito di 100. Oltre alla fattura per i lavori, ovviamente imponibile, l’impresa deve fatturare la differenza di 10, per maggior chiarezza, anche se l’articolo 22, comma 1, numero 6 consente la fatturazione solo se richiesta dal cliente. Questo importo di 10 concorre al volume d’affari esente dell’impresa, ma non fa pro-rata in base al comma 2 dell’articolo 19-bis, in quanto accessorio a operazioni imponibili. Arriviamo alla cessione del credito da parte dell’impresa a un finanziatore: l’importo del credito non deve essere fatturato, in quanto escluso oggettivamente in base all’articolo 2, comma 3, lettera a) – cessioni di crediti in denaro (cioè diversi dai crediti per le merci). E sarà la società finanziaria a fatturare la differenza che costituisce corrispettivo dell’operazione.
Al riguardo l’Agenzia è stata esplicita con l’interpello 369/2021, in cui afferma che «per corrispettivo deve intendersi la commissione pattuita tra le parti per la cessione del credito (intesa come compenso per l’anticipo del credito, o come specificato dall’istante provento pari alla differenza positiva da acquisto crediti)». La risposta prosegue individuando l’inesistenza di un obbligo di registrazione dell’atto di cessione, in quanto avente per oggetto la riduzione o il rimborso di imposte e tasse da chiunque dovute.
( Articolo di Benedetto Santacroce su Il Sole24ORE)
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