S.r.l. ristretta. Gli utili “in nero” si presumono distribuiti ai soci
È legittimo l’accertamento nei confronti del socio sulla base della presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati dalla Società di capitali a ristretta base partecipativa, la quale può essere vinta attraverso la prova della mancata percezione degli utili extracontabili (perché accantonati o reinvestiti dall’ente) oppure dimostrando la propria totale estraneità alla gestione e conduzione societaria.
È quanto ha precisato la Corte di Cassazione (Sez. 6-5) con l’ordinanza n. 10732/2021, depositata il 22 aprile, con cui è stato accolto un ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Il caso
–Il socio al 90 per cento di una Società a responsabilità limitata è stato raggiunto da un avviso di accertamento di maggior reddito per l’anno 2006, basato sulla contestazione della percezione di utili extracontabili, provento di occultamento del reddito da parte della Società, destinataria, a sua volta, di un avviso di accertamento ritualmente notificato ma mai impugnato e quindi divenuto definitivo.
Ebbene, la Commissione Tributaria Provinciale di Modena, adita dal socio in questione, ha accolto la domanda di annullamento della ripresa fiscale, ritenendo, a tal fine, dirimente l’estinzione della Società. La decisione del primo Giudice è stata in seguito confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, la quale ha disatteso l’appello erariale, sul presupposto che l’Ufficio procedente non avesse fornito la prova della distribuzione, in sede di liquidazione della Società, degli utili in favore del socio. A questo punto la parola è passata ai giudici della Suprema Corte, la cui pronuncia ha ribaltato le sorti del giudizio.
Il motivo accolto
– La ricorrente Agenzia delle Entrate, con l’unico motivo del ricorso per cassazione, ha denunciato violazione degli artt. 2495 e 2497 cod. civ., per non avere, la C.T.R., tenuto conto del fatto che l’accertamento nei confronti del socio era indipendente da quello societario, nel senso che quest’ultimo ne costituiva unicamente il presupposto di fatto e si fondava sulla presunzione di distribuzione degli utili, essendo la compagine sociale a ristretta base partecipativa.
Per i Supremi Giudici il motivo è fondato.
Inquadramento normativo
– Ai sensi dell’art. 2945 del codice civile: «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere í loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento e’ dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».
L’art. 36, comma 3, D.P.R. n. 603/73, nella versione applicabile al caso di specie ratione temporis, stabilisce, limitatamente alle imposte dirette sui redditi, che «i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità’ stabilite dal codice civile».
La responsabilità, di cui all’art. 36, comma 3 – si rileva nell’ordinanza in esame – è in buona parte fondata sugli stessi presupposti quella dell’art. 2495 cod. civ., differenziandosi in particolare per il fatto che la norma fiscale amplia il periodo temporale di riferimento per valutare se il socio abbia goduto della distribuzione di somme o beni societari.
Soluzione del caso concreto – Alla luce del suddetto quadro normativo, i Massimi giudici hanno ritenuto errato, nel caso di specie, il riparto dell’onere probatorio da parte della C.T.R.
Il Collegio di seconde cure, muovendo dalla cancellazione della Società dal Registro delle imprese, ha posto a carico dell’Ufficio la dimostrazione dell’avvenuta percezione da parte del socio di somme o beni nei due anni precedenti l’estinzione; ma nel caso di specie – fa notare la Suprema Corte – si verte nella differente ipotesi in cui l’Amministrazione Finanziaria abbia motivato l’accertamento nei confronti del socio con la presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati dalla Società in ragione della ristretta base partecipativa.
Principi di diritto
– Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la presunzione di distribuzione ai soci degli utili occulti conseguiti da una Società di capitali a ristretta base partecipativa ha valenza di presunzione semplice qualificata (grave, precisa e concordante) e può essere superata dal contribuente fornendo la prova (anch’essa eventualmente presuntiva) che gli utili extracontabili conseguiti dalla Società non sono stati fatti oggetto di distribuzione ma sono stati, invece, accantonati dalla Società, oppure da essa reinvestiti (da ultimo, Cass. Sez. 5 n. 32959 del 20/2018; Sez. 5 n. 27778/2017).
Il principio è stato integrato e completato con l’affermazione che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, conseguiti dalle Società a ristretta base partecipativa, può essere vinta dal socio non solo attraverso la prova negativa della mancata percezione degli utili extracontabili (perché accantonati o reinvestiti), ma anche dimostrando di essere rimasto del tutto estraneo alla gestione e conduzione societaria (Sez. 6 – 5 n. 18042/2018; Sez.5 n.17461/2017; Sez.5-6 n.1932/2016), estraneità da intendersi nel senso che il socio deve fornire la prova di avere ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo Statuto) al socio della società a responsabilità limitata (artt. 2475 e 2476 cod. civ.).
L’errore compiuto dalla C.T.R.
- Chiosano gli Ermellini «I giudici di seconde cure nell’affermare che l’amministrazione finanziaria non ha fornito alcuna prova della distribuzione dell’attivo e della percezione di utili da parte del socio non ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali innanzi esposti».
Ne è derivato l’accoglimento del ricorso e il rinvio della causa al Giudice di secondo grado per nuovo giudizio.
( Articolo di Paola Mauro pubblicato su “Fiscal Focus” )