Utilizzo delle perdite fiscali: obbligo o facoltà?
Nell’ambito dell’imposizione Ires, il principio di autonomia dei periodi d’imposta, sancito dall’articolo 76 Tuir, trova una deroga nella possibilità di poter scomputare le perdite fiscali prodotte dai redditi imponibili dei periodi d’imposta futuri.
L’articolo 84, comma 1, Tuir, infatti, prevede che “la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare”.
In passato non era chiaro se lo scomputo delle perdite fiscali costituisse un obbligo o una facoltà per il contribuente.
Nonostante il dato letterale del comma 1 dell’articolo 84 Tuir (“la perdita di un periodo d’imposta… può essere computata…”) non lasci spazio a particolari dubbi, parte della dottrina propendeva per l’obbligatorietà dello scomputo delle perdite fiscali nel primo periodo d’imposta utile, ovvero nel primo periodo d’imposta successivo a quello di genesi della perdita fiscale in cui emerge un reddito imponibile. Questa interpretazione muoveva dalla necessità di impedire al contribuente arbitraggi volti ad utilizzare le perdite nel periodo d’imposta più conveniente.
In alte parole, secondo questa impostazione, le perdite generatesi nel periodo d’imposta “n” devono essere scomputate obbligatoriamente nel periodo d’imposta “n+1” nell’ipotesi in cui in tale anno emerga un reddito imponibile.
Recentemente la Corte di Cassazione con alcune sentenze, invece, ha affermato che “in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dal Tuir, articolo 84 (vigente ratione temporis), di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che essa deve essere esercitata mediante una chiara indicazione nella dichiarazione non potendosi a tal fine l’Amministrazione sostituirsi al contribuente” (Corte di Cassazione n. 25566/2017, n. 5105/2019 e n. 16977/2019).
Quindi, secondo la Corte di Cassazione, il contribuente è libero di decidere se e quando utilizzare le perdite fiscali a scomputo dei redditi futuri, ciò in quanto la norma attribuisce al contribuente la facoltà di utilizzare le perdite fiscali mediante esercizio di un’opzione da manifestarsi nella dichiarazione fiscale (le perdite che si generano nell’anno “n” possono essere scomputate dal reddito imponibile dell’esercizio “n+2” anche se nell’anno “n+1” è emerso un reddito imponibile).
La dichiarazione fiscale, che in linea generale rappresenta una dichiarazione di scienza, nella parte in cui il contribuente decide di utilizzare le perdite fiscali costituisce un atto negoziale e pertanto non può essere oggetto di ritrattazione: infatti l’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998 stabilisce che è possibile presentare una dichiarazione integrativa solo se la dichiarazione originaria risulta affetta da errori od omissioni.
È evidente che l’esercizio di un’opzione non possa essere mai qualificato come errore od omissione.
Sul punto la Corte di Cassazione (sentenza n. 5105/2019) ha affermato che l’omessa indicazione e il mancato utilizzo delle perdite fiscali “non può essere oggetto di rettifica, nè tanto meno può dar luogo al diritto a rimborso, che riguarda solo le somme indebitamente versate e salvo che non siano maturate preclusioni di legge (o che il contribuente non faccia valere l’errore commesso secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’articolo 1427 cod. civ. e ss., e cioè sotto il duplice profilo della essenzialità – nella specie dovendo ravvisarsi tale requisito nell’errore che cade sulla “qualità di perdita” dell’importo da portare in diminuzione, o ancora nell’errore determinato da ignoranza od errata comprensione della portata delle norme tributarie applicabili – e della obiettiva riconoscibilità – da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli uffici accertatori – vedi Cass. 11 maggio 2012, n. 7294; richiamata in Cass. n. 6977/15
( Articolo di Stefano Rossetti pubblicato su “Euroconference News” )
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