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Bar e ristoranti sono nel mirino

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Non si capisce perché ma il governo Conte sta di fatto operando per riuscire ad annientarli.

Da settimane si procede a singhiozzo. Le restrizioni si accentuano e si ricompongono nel volgere di pochi giorni: durano il sabato e la domenica, per modificarsi il lunedì, salvo cambiare di nuovo per l’arrivo di un giorno prefestivo. Non paghi di questi avanti-e-indietro, si è riusciti a inventare, accanto alle tre zone cromatiche divenute canoniche, una quarta, amabilmente definita «gialla rafforzata». Adesso, si è sicuri soltanto che le disposizioni oggi in vigore in ciascuna regione (gialla o arancione) permarranno fino a venerdì.Ci si scorna e ci si scornerà, fra tecnici e politici, fra ministri e presidenti regionali, fra autorità varie e poi fra scienziati, categoria ove abbondano i catastrofisti. Verosimilmente, sapremo venerdì il nostro destino di sabato e domenica.


D’accordo: la situazione è eccezionale. Tuttavia, non si può nemmeno procedere senza fornire alcuna certezza sui tempi a categorie già provate.

Emerge sempre più la volontà di titolari di bar e cinema, teatri e ristoranti ed esercizi vari, impianti sportivi e negozi, di farla finita chiudendo. È perfino disumano vedere trattate con sublime indifferenza le serene ragioni di migliaia di attività. Ancor più grave è avere costretto a spese e interventi per consentire riaperture, che poi sono state troncate, per venire concesse di nuovo in condizioni però limitate, parziali, mutevoli e sconnesse.

Vi sono intere categorie che non riescono a comprendere i motivi per i quali si possa mangiare fuori a pranzo e non a cena, andare in moschea o in sinagoga ma non al museo, spostarsi dopo complicate verifiche cromatiche e chilometriche.


Emerge chiaramente la verità.

Larghe maggioranze di tecnici e nuclei di politici che riescono a imporsi vorrebbero chiudere tutto, a tempo indeterminato. Se gli italiani non si muovessero, anche il virus non circolerebbe: tale è l’assunto. Poiché questo desiderio è irrealizzabile, per una somma di considerazioni economi-che, sociali, finanziarie, psicologiche, ecco allora che surrettiziamente si vuole provocare il confinamento casalingo per rassegnazione. Non riuscendo più a districarsi nelle cangianti disposizioni; non potendo fare previsioni su spostamenti e investimenti; non essendo in grado di progettare la propria personale attività; centinaia di migliaia di connazionali scelgono la soluzione più immediata: confinarsi.


C’è da dire che la paura della pandemia è così installata che le proteste non si traducono in ribellioni o la rabbia in rivolta. Vi sono del resto categorie, per esempio vasti settori del pubblico impiego, che non hanno perso un euro e, nel contempo, hanno visto diminuire o azzerare il carico di lavoro. Altri settori sono passati dai divieti alle aperture, senza che mai sia stata fornita spiegazione dei mutamenti normativi (si pensi ai parrucchieri, la cui esclusione dal lavoro era stata rimarcata da un intervento del capo dello Stato, casuale o forse no).


Evitare gli assembramenti, si continua a ripetere.

Chiarite quali assembramenti potrebbero mai prodursi in una pinacoteca nella quale i visitatori contemporanea-mente presenti non superino di solito la dozzina, e che adesso potrebbero perfino essere ancor più compressi tramite la prenotazione obbligatoria. Spiegate perché duecento persone possano assistere distanziate a una messa, mentre cento spettatori, ancor più distanziati, non possano ascoltare un concerto, godersi un film, applaudire uno spettacolo. Invece di razionalizzare, si va avanti con misteriose concessioni e incomprensibili divieti.
Aggravati, appunto, dall’ alternarsi di zone e categorie e orari e giorni.

(Articolo di Cesare Maffi pubblicato su “Italia Oggi”)

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