Per chi chiude la partita Iva il dilemma delle ultime fatture
Il lavoratore autonomo deve valutare l’impatto dei crediti non ancora incassati. Per l’agenzia delle Entrate o si anticipano i tributi oppure si è obbligati a tenere aperta la posizione. Per un lavoratore autonomo, ad esempio giunto a fine attività o in procinto di divenire lavoratore dipendente, può costituire un problema anche un adempimento semplice come la chiusura della partita Iva.
E non per il (necessario) “autoconsumo” dei beni destinati all’attività, i quali devono essere estromessi determinando a volte un onere aggiuntivo in termini di Iva e di Irpef sulle plusvalenze, quanto piuttosto per la gestione fiscale dei mancati incassi.
Il problema riguarda tutti i contribuenti che applicano un regime di cassa, quindi tipicamente i professionisti, o i forfettari (soggetti che applicano la cosiddetta flat tax, ovvero il regime di cui ai commi 54 e seguenti dell’articolo 1 della legge 190/2014) o i cosiddetti “minimi” (ossia coloro che, ad esaurimento, sono ancora nel regime di cui all’ articolo 27 del Dl 98/2011). E si riflette sia sull’imposizione sui redditi (e sull’ Irap per chi ne è soggetto) sia sull’Iva, almeno per le prime due categorie di contribuenti (minimi e forfettari, infatti, si comportano, ai fini Iva, come i privati).
Le due strade attuali Sotto l’ aspetto reddituale, il tema si può affrontare partendo da quanto chiarito dall’ agenzia delle Entrate con la circolare 10/E/2016 (par. 4.3.5) – ribadito con la circolare 10/E/2019 – in merito ai contribuenti forfettari, richiamando precedenti affermazioni riguardanti i minimi (circolare n. 17/E/2012) e i professionisti, in regime ordinario o semplificato (circolare n. 11/E/2007, risoluzione n. 232/E/2009). Per questi soggetti, l’attività non può considerarsi cessata sino a quando «esistono ricavi e compensi fatturati e non ancora riscossi, ovvero costi ed oneri per i quali manca ancora la manifestazione numeraria».
In questa situazione (ossia nella normalità dei casi), fino all’esaurimento di queste operazioni sospese il contribuente è posto di fronte all’alternativa tra mantenere la partita Iva (e i conseguenti obblighi dichiarativi) e «la facoltà di chiudere le proprie pendenze fiscali, imputando all’ ultimo anno anche delle operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria». Traduzione: di fatto, anticipare le imposte a fronte di un incasso che potrebbe non giungere mai. Per cui la scelta è tra “autotassarsi” anche sugli importi non incassati o continuare a mantenere aperta la partita Iva, per un tempo indefinito, assolvendo tutti gli adempimenti strumentali.
Poiché l’Agenzia ha richiamato i ricavi fatturati si potrebbe pensare che il problema non si ponga laddove, in presenza di una prestazione di servizi, la fattura, il documento ordinariamente rilevante ai fini Iva, non sia stato ancora emesso. Al di là del fatto che un simile ragionamento creerebbe una disparità difficilmente comprensibile tra contribuenti a seconda della tipologia di attività esercitata, va anche considerato quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione (a Sezioni unite) in tema di Iva. Con sentenza 8059/2016 la Suprema Corte ha concluso che il compenso professionale è soggetto ad Iva anche se percepito dopo la cessazione dell’attività, poiché il fatto generatore del tributo va ricollegato alla esecuzione della prestazione.
Il nuovo orientamento Uno spiraglio è recentemente intervenuto con la risposta ad interpello n. 299/2020, riguardante un contribuente in regime dei minimi che ha fatturato un compenso in costanza di regime ma lo ha incassato dopo aver chiuso la partita Iva.
In considerazione del regime del contribuente, qui non si poneva un tema di Iva ma solo reddituale. Che l’Agenzia risolve riconoscendo che, al momento dell’incasso, al contribuente non può essere riscontrato il requisito dell’esercizio abituale della professione, per cui il compenso può essere dichiarato come reddito diverso da lavoro autonomo occasionale (articolo 67, comma 1, lettera l, Tuir), e come tale da indicare a quadro RL del modello Redditi. Una risposta più dettata dalla situazione contingente (peraltro con effetti solo reddituali e non Iva) che da una visione sistematica. Se così non fosse, infatti, basterebbe sempre chiudere serenamente la partita Iva, salvo poi, ad incasso avvenuto, dichiarare il reddito diverso.
Resta il fatto che non si può imporre a chi deve chiudere di fatturare (e considerare percepiti) anche i mancati incassi salvo poi consentire, a chi non lo ha fatto, di porvi rimedio senza problemi. Il sistema, evidentemente, non è in equilibrio e sconta la materiale impossibilità del contribuente di poter “riattivare” la posizione di lavoro autonomo (o d’impresa) dopo la chiusura della partita Iva, nel caso intervenisse l’incasso, in modo da assolvere ai vari adempimenti richiesti.
( Articolo di Giorgio Gavelli pubblicato su “Il Sole24ore”)