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Prendete un elettore, blanditelo con montagne di promesse farlocche ed egli, come diceva Ionesco, diventerà un devoto

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«Prendete un circolo, accarezzatelo e diventerà vizioso», recita un surreale aforisma di Eugène Ionesco.

Parafrasandolo, prendete un elettore, blanditelo con montagne di promesse farlocche e diventerà devoto. È il gioco preferito dei demagoghi domestici, esperti in storytelling che manipolano sistematicamente i numeri della realtà nazionale. Basta scorrere l’ultimo report di Itinerari Previdenziali, il Centro studi presieduto da Alberto Brambilla, per farsene un’idea. I dati sono noti, ma vale la pena citarne qualcuno. Il report, ad esempio, ci ricorda che dal 2008 al 2018, cioè ben prima della pandemia, abbiamo accumulato oltre cinquecento miliardi di nuovo debito, alla faccia dell’austerity impostaci dall’ Europa matrigna.


Ci ricorda, inoltre, che nello stesso decennio la spesa sociale finanziata dalla fiscalità generale è aumentata -non diminuita- di quarantatré miliardi. Ci ricorda, ancora, che appena quattro cittadini su dieci pagano le tasse, mentre sei non solo non le versano, ma sono totalmente a carico della collettività (a partire dalla spesa sanitaria). Ci ricorda, infine, che poco più del dodici per cento degli italiani paga quasi il sessanta per cento dell’Irpef, mentre il quarantasei per cento ne paga meno del tre per cento.


Ora, se si vogliono ridurre le tasse solo ai percettori di redditi fino ai quarantamila-cinquantamila euro (il mitico ceto medio), è inevitabile tassare di più quel dodici per cento che traina l’economia italiana. È vero che in questo aggregato di contribuenti ci sono i cosiddetti pensionati d’oro, bersaglio prediletto dei professionisti dell’anticasta.


Senza però dimenticare che la metà dei pensionati prende sì assegni anche molto modesti, ma non ha mai versato un euro nelle casse dell’Inps.


Che dire, poi, della storia degli oltre cinque milioni di poveri assoluti, ossia di coloro che non arrivano alla seconda settimana del mese, e dei nove milioni e mezzo di poveri relativi, ossia di quanti arrivano a malapena alla terza? Se un quarto della popolazione fosse davvero in questa condizione, allora avremmo dovuto vedere le piazze invase da orde di gilet gialli; così come avremmo dovuto aspettarci una mole stratosferica di domande accoglibili per il sussidio minimo garantito (è ora di chiamare con il suo vero nome il reddito di cittadinanza, il quale è un’altra cosa).

Del resto, nella narrativa populista l’evasione fiscale e il lavoro nero restano sempre sullo sfondo. Va tutto bene, quindi? Certo che no. Va male, anzi molto male. Anche perché la cultura economica dei partiti che negli ultimi tre anni si sono alternati al governo è la stessa: una sorta di «keynesismo straccione», per cui lo Stato si indebita per mettere nelle tasche delle famiglie dei quattrini e aspetta che il famigerato moltiplicatore compia il miracolo.


Una cultura, insomma, che non si preoccupa di come aumentare la ricchezza, ma solo di come redistribuirla.

Il premier Conte, nel suo recente discorso ad Assisi, ci ha voluto rassicurare e, riferendosi alle risorse del Recovery Fund, ha usato parole alate: «Dobbiamo cogliere questa straordinaria opportunità, l’attesa di una nuova alba che oltrepassi i tanti confini che ci hanno diviso e impoverito. La nostra missione e attività di governo richiede uno sguardo fisso sul futuro tanto ampio da custodire e rigenerare la casa comune per le future generazioni. Lo faremo: stiamo elaborando un piano nazionale per un Paese rigenerato».


Nella sua omelia l’ex avvocato del popolo ha mescolato accenti evangelici (la novella del buon pastore), motivi pascalian-erasminiani (l’appello a un nuovo umanesimo), grandi temi dell’esistenzialismo novecentesco (l’angoscia di fronte a un nemico invisibile). Toni elevatissimi, come se volesse ribellarsi al destino che sembrerebbe relegarlo nel girone dantesco degli ignavi. Perché, in attesa dell’homo novus, stiamo sempre aspettando i vaccini antinfluenzali e i soldi del Mes.

( Articolo di Michele Magno pubblicato su “Italia Oggi” )

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