Il rafforzamento patrimoniale delle imprese nel Decreto Rilancio
Il D.L. 34/2020 (c.d. “Decreto rilancio”) in G.U. n. 128 del 19 maggio 2020, attualmente in corso di conversione, contempla alcune Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
L’articolo 26, rubricato “Rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni” prevede delle misure agevolative a fronte della patrimonializzazione delle società di capitali residenti in Italia. L’agevolazione, seppur con modalità e requisiti in parte differenti, riguarda contemporaneamente sia il socio che apporta il conferimento (comma 4), che la società che lo riceve (comma 8). I requisiti per accedere alle due agevolazioni sono indicati nel comma 1 e si sostanziano, in estrema sintesi, in un range di ricavi 2019 della società tra i 5 ed i 50 milioni di euro, oltre ad una riduzione dei ricavi complessivi causa Covid-19 nel mese di marzo e aprile 2020 superiore al 33% dello stesso periodo dell’anno precedente. Il comma 2, inoltre, prevede degli ulteriori requisiti di virtuosità in relazione alla società e in taluni casi ai suoi soci che, tuttavia, riguardano solo l’agevolazione in capo alla società prevista nel comma 8. Venendo all’agevolazione che spetta al socio conferente, il comma 4 prevede che ai soggetti che effettuano conferimenti in denaro, in una o più società, in esecuzione dell’aumento del capitale sociale con le modalità di cui al comma 1, lettera c), spetta un credito d’imposta pari al 20 per cento.
La menzionata lett. c) fa riferimento agli aumenti di capitale a pagamento con integrale versamento effettuato dopo l’entrata in vigore del decreto legge ed entro il 31 dicembre 2020. Il comma 5 prevede un tetto massimo dell’investimento di 2 milioni di euro e l’obbligo di detenere la partecipazione e di non distribuire riserve entro il 31 dicembre 2023. In sostanza, il credito spetta nella misura massima di 400 mila euro, ossia il 20% di 2 milioni di euro. Non vi sono ragioni per negare la fruibilità del credito anche da parte di soci non residenti di società italiane. Ciò in quanto la norma fa riferimento genericamente ai “soggetti” e una diversa impostazione risulterebbe in contrasto con i principi del trattato di Roma istitutivo della CEE. Il problema sta nel fatto che, ordinariamente, i soci non residenti non producono redditi in Italia, per cui non avranno modo di recuperare il credito accordato. Il comma 7, peraltro, prevede che il credito di cui al comma 4 sia utilizzabile nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di effettuazione dell’investimento e in quelle successive fino a quando non se ne conclude l’utilizzo nonché, a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di effettuazione dell’investimento, anche in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997.
La formulazione della norma non pare ammettere il rimborso. Il comma 6, peraltro in modo invero fumoso, riconosce altresì il credito per gli investimenti “in stabili organizzazioni in Italia di imprese con sede in stati membri dell’Unione Europea”. Il comma 8, dal canto suo, contempla le agevolazioni in capo alla società che riceve l’apporto di capitale. Anch’essa, infatti, oltre al socio che fruisce del credito di cui al comma 4 sopra descritto, potrà beneficiare, a seguito dell’approvazione del bilancio per l’esercizio 2020, di un credito d’imposta pari al 50% delle perdite eccedenti il 10 per cento del patrimonio netto, al lordo delle perdite stesse, fino a concorrenza del 30 per cento dell’aumento di capitale di cui al comma 1, lettera c), e comunque nei limiti previsti dal comma 20. Come segnalato nella relazione illustrativa, il comma 20 riporta la complessa disciplina in materia di massimale delle misure di aiuto erogate in base al paragrafo 3.1 della Comunicazione della Commissione “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di stato a sostegno dell’Economia nell’attuale emergenza del Covid 19” e di esclusione dal computo di talune specifiche misure di aiuto.
Il comma 8 prevede altresì che la distribuzione di qualsiasi tipo di riserve prima del 1° gennaio 2024 da parte della società ne comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo di restituire l’importo, unitamente agli interessi legali. Le perdite cui fa riferimento il comma 8 dovrebbero essere quelle civilistiche e non quelle fiscali. Il credito fruibile dalla società dovrebbe risultare più agevolmente recuperabile. La misura agevolativa deve tuttavia ritenersi in una fase di stand by, atteso che il comma 3 prevede che l’efficacia delle misure previste dal presente articolo sia subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea. Inoltre, il comma 10 prevede, per questi crediti, un limite di spesa ed il comma 11 rinvia a un decreto ministeriale per stabilirne i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta anche al fine di assicurare il rispetto del limite di spesa di cui al precedente comma 10.
Ad ogni buon conto, quand’anche le condizioni per fruire del credito fossero soddisfatte, l’apporto risulterebbe congelato nel capitale sociale. La riduzione del capitale sociale, infatti, richiede l’adozione di specifiche procedure e, qualora fosse distribuito ai soci, potrebbe rientrare nella presunzione di cui all’articolo 47, comma 1, Tuir relativo alla presunzione di prioritaria distribuzione degli utili.
( Articolo di Ennio Vial pubblicato si “Euroconference News” )