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Distacchi di personale: disciplina Iva – II° parte

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Come visto nella prima parte dell’articolo, la Corte di Giustizia, con sentenza C-94/19 ha dichiarato incompatibile con la Direttiva 112/06, l’articolo, 8, comma 35, L. 67/1988 che dispone l’irrilevanza ai fini Iva dei distacchi e prestiti di personale in cui il distaccatario versa solo il rimborso del costo della persona distaccata, qualora il giudice nazionale constati che l’esecuzione del distacco, ed il pagamento dello stesso, sono due prestazioni che si “condizionano reciprocamente, vale a dire che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa”.

Sul punto, abbiamo visto che Assonime si pone il dubbio se, in particolari circostanze, possa mancare la corrispettività, in quanto – per lo meno questo sarebbe il ragionamento – il distaccante avrebbe comunque interesse al distacco indipendentemente dalla “somma” ricevuta, e quindi questa dovrebbe definirsi un “indennizzo” e non un corrispettivo. Assonime auspica quindi un nuovo intervento che miri a chiarire meglio tale concetto, poiché ancora regna l’incertezza su quali siano le situazioni in cui le prestazioni si “condizionano reciprocamente”.

La Corte di Giustizia invita il giudice nazionale a fare questa analisi. Ma chi è il giudice nazionale? Avremo una sentenza che chiarirà tali concetti erga omnes? In realtà, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi dalla Corte di Cassazione, la quale stava decidendo un giudizio che vedeva contrapposto un contribuente italiano e l’Agenzia delle Entrate. La Corte di Giustizia è chiamata solo a giudicare se la norma italiana che è a fondamento del giudizio è compatibile con la Direttiva 112/06, e pertanto non entra nel merito della causa, ma si limita a dare al giudice rimettente lo strumento interpretativo per decidere la stessa.

La Cassazione (o forse, addirittura, il giudice di merito al quale la causa verrà rinviata), quindi, valuterà solo nel caso specifico se esiste corrispettività o meno, e, qualora la ravvisi, dovrà tenere conto della incompatibilità della norma nazionale. Ma cosa succede quando una normativa nazionale è dichiarata incompatibile con una Direttiva europea da una sentenza della Corte di Giustizia UE? La Corte di Giustizia UE è l’organo deputato all’interpretazione autentica della normativa comunitaria, e quindi la sua sentenza ha lo stesso valore della norma interpretata (la Direttiva 112/06, nel caso specifico).

Quando una norma nazionale viola il dettato di una Direttiva, la stessa deve essere disapplicata, ma come vedremo, tale disapplicazione incontra dei limiti, anche con riguardo agli effetti temporali. In primo luogo, il contribuente non può trarre nocumento dal fatto che il proprio Stato non ha recepito correttamente una Direttiva europea, e quindi il contribuente, nel giudizio contro l’Amministrazione finanziaria, può chiedere al giudice di disapplicare, con effetto retroattivo, la normativa incompatibile. Si pensi al caso C-228/05, nel quale Stradasfalti (e con essa tutti i contribuenti italiani) poterono chiedere il rimborso dell’Iva non detratta a seguito della dichiarata incompatibilità della normativa italiana che comprimeva oltre modo tale diritto.

I contribuenti che quindi hanno assoggettato ad Iva per il passato il distacco di personale, nulla hanno da temere, qualora appunto sia dimostrabile la “corrispettività” dell’operazione. Anche per il futuro non si ravvedono tali problematiche: se non già presenti, sarà sufficiente inserire opportune clausole contrattuali dalle quali si evinca in modo chiaro che si è in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive, ed assoggettare ad Iva il corrispettivo corrisposto. Anche qualora la L. 67/1988 non venga modificata, la stessa sarà nel caso specifico inapplicabile. Sulla retroattività della sentenza della Corte di Giustizia a sfavore del contribuente, invece, l’analisi diventa più complessa, in quanto vede coinvolto il principio di certezza del diritto.

La recente sentenza C-122/17, ancorché non vertente sulla materia tributaria, ha ad esempio statuito che in una causa tra privati, nella quale la normativa nazionale e quella comunitaria non recepita farebbero giungere a diverse conclusioni, il principio di certezza del diritto impone che il giudice nazionale applichi il diritto nazionale incompatibile, fermo restando che la parte soccombente potrà chiedere allo Stato il risarcimento del danno subito dalla incompatibilità della norma. In sostanza, la parte che ha applicato il diritto nazionale incompatibile non può essere in alcun modo danneggiata. La Corte di Giustizia ha anche chiarito come comportarsi quando la vertenza vede contrapposto il contribuente contro la propria Amministrazione, in una causa che vede indirettamente coinvolto anche lo Stato italiano.

Ci riferiamo in particolare alla sentenza C-181/04, nella quale una società greca aveva applicato il regime di non imponibilità su indicazioni dell’Amministrazione finanziaria, e a posteriori le veniva chiesto di versare l’imposta su tali operazioni, in quanto l’interpretazione precedentemente fornita era incompatibile con la Direttiva Iva. In tale causa, l’Italia è indirettamente coinvolta, in quanto gli Stati membri possono partecipare alle cause ed offrire alla Corte degli spunti interpretativi; il nostro, in particolare, suggerì alla Corte quello che ritiene essere un principio di civiltà giuridica, inserito nel nostro Statuto del contribuente, che vede legittima la richiesta delle imposte, e non quella relativa a sanzioni ed interessi di mora.

La Corte di Giustizia statuisce invece che il recupero dell’Iva non è consentito, qualora si sia formato un legittimo affidamento, cioè quando una autorità amministrativa abbia ingenerato fondate aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto; a tale riguardo, la Corte ha invitato il giudice nazionale a valutare la valenza della risposta fornita dall’autorità fiscale greca (tipo: era la risposta di un funzionario dello sportello, o una risposta ad istanza di consulenza giuridica?). Nel caso nazionale il contribuente ha addirittura applicato una norma, per cui, sulla base di tale principio l’Amministrazione finanziaria non potrà chiedere al contribuente la maggiore Iva per il passato.

Segnaliamo come tale principio di civiltà giuridica sia stato disatteso dalla Agenzia delle Entrate ben due volte (risoluzione 174/2005 con la richiesta retroattiva di versamento dell’Iva sulla medicina legale e risoluzione 79/2019 con richiesta retroattiva alle scuole guida); tuttavia, in entrambi i casi, venne di fatto riconosciuto applicabile dal legislatore, il quale modificò la normativa domestica solo per il futuro, precludendo all’Amministrazione finanziaria i recuperi per il passato.

( Articolo di di Roberto Curcu pubblicato su “Euroconference News” )

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