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Una giovane invia una lettera a Conte sull’emergenza. Caro Presidente, ti scrivo. E racconta i suoi malumori

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Caro Presidente, ti scrivo. A prendere carta e penna e indirizzare una missiva a Palazzo Chigi è Serena Cerescioli, che così incomincia: «Caro Presidente, sicuramente questa lettera finirà dritta dritta nel suo cestino e non sarà per nulla considerata né mai letta, ma io ci provo lo stesso».

Questa under-30 gestisce a Camerino il Pop Cafè, con edicola, gelateria, sala concerti, un locale multimediale di cui va orgogliosa e che adesso è forzosamente chiuso. Di qui la sua decisione di scrivere direttamente a Conte: «Restiamo a casa ed è giusto restarci per un diritto di reciprocità, nostro e del nostro prossimo.

Io faccio parte di quei 5mln di italiani che sono titolari di un’impresa, che hanno rischiato e rischiano ogni giorno, che hanno investito e investono nel territorio, nei giovani e nel futuro. Faccio parte di quella buona fetta di imprenditori che sacrificano la propria vita, le proprie giornate, il tempo libero, la famiglia, i desideri, per far filare tutto liscio. Che significa far filare tutto liscio? Significa far sì che la propria azienda funzioni, significa fare un prodotto o dare un servizio eccellente, soddisfare i bisogni del cliente e far sì che il cliente di oggi lo sia anche domani».

Continua la lettera: «Ho più di 10 collaboratori che stanno a casa e stanno facendo la quarantena. Per i giorni che non lavoreranno lo Stato, (che siamo sempre noi) pagherà la cassa integrazione, stabilita nella misura dell’80% per lavoratori a tempo pieno e al 70% circa per i lavoratori a chiamata in base alle ore lavorate negli ultimi sei mesi, questo significa che un dipendente che prende uno stipendio medio di 1200/1300 euro percepirà sui 900/1000 euro È giusto dare liquidità ai cittadini.

Ma le chiedo se per lei è giusto che un imprenditore che si sveglia tutte le mattine per andare a lavorare, come me, 7 giorni su 7 e lavora anche 13/14 ore al giorno, che se manca un dipendente deve fare il doppio turno per coprirlo, che investe nella sua attività, che dà lavoro, che paga le tasse con una pressione fiscale del 55%, che rischia… ecco tutti questi sacrifici valgono meno dello stipendio di un dipendente 600 euro, meno del reddito di cittadinanza… Io con 600 euro non ci pago nemmeno 10 giorni di elettricità del locale». Ancora: «Concessione di liquidità ok!, ma sono soldi prestati vanno rimborsati, posticipazione del pagamento di tasse e contributi, ok! ma vanno pagati vanno tirati su poi. Ma allora qual è il vostro reale aiuto?»

La lettera si conclude così: «Lei e altri 3 milioni di dipendenti pubblici forse non avrete di questi problemi non avrete di che preoccuparvi per pagare bollette, rate e stipendi. Vorrei solo che lei pensasse e per una volta provasse a mettersi nei panni di uno di quei 5 mln di imprenditori che prima di essere imprenditori sono uomini che lavorano sodo e a cui lei ha riservato 600 euro». La giovane Cerescioli (e noi) ci mettiamo in attesa della risposta.

( Articolo di Carlo Valentini pubblicato su “Italia Oggi”)

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