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Tasse, ormai è in gioco la coesione sociale

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L’ attuale sistema tributario ha assunto una configurazione molto lontana da quella che si immaginavano gli estensori della Carta Costituzionale e gli illustri giuristi e cultori della materia che furono chiamati a comporre la commissione Cosciani alla fine degli anni 60.

L’art. 53, co. 2, richiede che l’insieme dei tributi, che garantisce quasi il 90% delle entrate dello Stato, costituisca un “sistema”, inteso come un insieme di elementi in stretto rapporto funzionale tra loro e destinati a uno scopo e a una finalità specifica. Anche l’art. 119, co. 2, Cost. – a fronte dell’attribuzione ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni, del potere di introdurre e applicare tributi ed entrate proprie, al fine di garantire la disponibilità di risorse autonome – richiede che tale esercizio sia svolto «in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Quello che, invece, appare di fronte a noi è un “sistema non sistema”, un insieme di disposizioni farraginoso, distorsivo, scoordinato, ricco di “linee di frattura” difficilmente comprensibili generate dall’ introduzione, nel tempo, di una miriade di deduzioni, detrazioni, esenzioni, imposizioni sostitutive del tutto illogiche e volte più a facilitare la gestione amministrativa dell’imposizione e dei controlli, che a rispondere a una ratio fondata sui necessari requisiti di equità e giustizia. Un sistema fortemente sbilanciato nel quale la progressività è applicata ai soli redditi da lavoro e da pensione, e caratterizzato da una pesante iniquità orizzontale e verticale.

Come se non bastasse, i testi dei provvedimenti legislativi sono difficilmente leggibili, spesso sono confusi nell’ esplicitazione della volontà normativa, e forte si sente la mancanza di testi unici quali unitari punti di riferimento per ciascuna specifica disciplina. Tale condizione genera un’eccessiva incertezza e variabilità interpretativa che determina un grado di rischio fiscale troppo elevato e costoso per imprese e privati contribuenti che, a sua volta, si ripercuote sul ricercato livello di adempimento spontaneo (tax compliance).

Non è erroneo ritenere che l’attuale “sistema” impositivo non possa reggere oltre, perché non riesce a rispondere alle esigenze di equità e di giustizia sociale che sono esplose dopo la più lunga fase di crisi e stagnazione economica che si sia mai vista dal secolo scorso. La riforma dell’Irpef è sicuramente quella più urgente. Progressività vera, più lenta e lineare, inclusione dei redditi, revisione delle deduzioni e detrazioni con una accentuata attenzione agli aiuti alle famiglie e ai soggetti cosiddetti incapienti, dovrebbero essere i capisaldi. Ma fortemente auspicabili sarebbero anche altri interventi.

Una rimodulazione delle aliquote Iva per tenere conto dell’evoluzione dei consumi e ridurre la regressività tipica dell’imposta. Una revisione della fiscalità immobiliare (riforma del catasto) e dei tributi locali, che dovrà garantire l’autonomia impositiva degli enti territoriali, ma nello spirito del coordinamento di sistema richiesto dall’art. 119 della Costituzione. Così come appare necessario ripensare il modello di imposizione delle imprese, per le quali la dualità fondata sull’ Ires e Irap, sembra apparire superata, così come la differenziazione per tipologia soggettiva dell’esercente l’attività d’impresa. E poi c’è il grande tema delle disuguaglianze e dei pericoli per la sopravvivenza ordinata dello Stato che potrebbero derivare da una ridotta coesione sociale, ormai certificata dall’Istat.

Per cui è tempo che si affronti senza preconcetti ideologici il tema dell’utilità, ai fini di un migliore equilibrio del sistema e di un rafforzamento della progressività, dell’applicazione effettiva di una riformata imposta di successione e donazione e dell’introduzione di un’imposta sui grandi patrimoni, come prevedono le legislazioni altri Paesi dell’Ue. Il maggior gettito ricavato potrebbe essere impiegato per ridurre la pressione fiscale sul lavoro, per implementare politiche pre-distributive e per avviare un percorso concordato di riduzione del debito pubblico, magari in cambio di una concreta attuazione della cosiddetta golden rule per gli investimenti in infrastrutture e per la messa in sicurezza del territorio.

Ma la politica dovrebbe garantire anche risposte immediate ed efficaci a problemi contingenti che minano l’equità, la concorrenza tra le imprese e il senso di giustizia sociale. Nella consapevolezza che la migliore efficacia dipenda da un necessario coordinamento europeo e sovra nazionale, un intervento temporaneo di rivisitazione della web tax e della Tobin tax apparirebbe in ogni caso opportuno e non rinviabile.

Per tali ragioni credo sia necessario avviare un percorso di riforme nell’ambito di una vera “politica fiscale” che guardi a un orizzonte temporale di medio-lungo termine e che non sia condizionata solo da mere esigenze di “cassa” di breve periodo.

( Articolo di Fabio Ghiselli pubblicato su “Il Sole 24ore”)

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